Con la sentenza n. 245 del 29 novembre 2019, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della L. n. 3/2012 (“Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”), limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto”. 

A mente di tale norma, il piano posto alla base dell’accordo di composizione della crisi proposto ai creditori poteva prevedere una soddisfazione non integrale dei crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca quando ne fosse assicurato il pagamento in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avendo avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi.

Tuttavia l’art. 7, primo comma, terzo periodo, L. 3/2012, precisava, per quanto attiene l’adempimento dei debiti IVA (oltre che dei debiti aventi ad oggetto tributi che costituiscono risorse proprie dell’Unione e le ritenute non versate dal sostituto d’imposta), che questo potesse essere solo dilazionato, non essendo ammessa una decurtazione, neppure parziale.

La Corte ha in primo luogo rilevato che la disciplina sul sovraindebitamento replica i tratti sostanziali, ma soprattutto la filosofia di fondo di quella che regola il concordato preventivo, assolvendo all’ esigenza di garantire anche ai soggetti non fallibili, connotati da gravi situazioni debitorie, l’accesso a misure di carattere esdebitatorio, alternative alla liquidazione o conseguenziali alla stessa, tali da consentire loro di potersi ricollocare utilmente all’interno del sistema economico e sociale, senza il peso delle pregresse esposizioni, pur a fronte di un adempimento solo parziale rispetto al passivo maturato.

La regola che domina tali procedure è quella della falcidiabilità dei crediti garantiti da privilegio e, tra questi, anche quelli di matrice tributaria, in deroga al principio di cui all’art. 2741 cod. civ. (“concorso dei creditori e cause di prelazione”); ciò in ragione del fatto che, nell’ambito delle procedure preventive, che mirano a realizzare la finalità esdebitatoria, viene dato rilievo imprescindibile alle prospettive di effettiva soddisfazione del credito munito di  prelazione, che devono essere maggiori rispetto a quella potenzialmente derivante dalla liquidazione dei beni coperti dalla prelazione.

In tale contesto, la possibilità di operare la falcidia del credito erariale, compensata dalla maggiore soddisfazione garantita rispetto alla alternativa liquidatoria, costituisce diretta espressione dei canoni di economicità ed efficienza ai quali deve conformarsi, ai sensi dell’art. 97 Cost., l’azione di esazione della Pubblica Amministrazione.

La Corte, poi, rammenta che la ratio sottesa al divieto di falcidia dell’IVA contenuto nella norma censurata è ascrivibile alla ritenuta indisponibilità del relativo gettito da parte del legislatore interno, imposta dal diritto dell’Unione Europea. Successivamente, però, siffatto assunto di partenza del diritto sovrannazionale è stato posto in discussione dalla sent. Degano Trasporti sas, con la quale la Corte di Lussemburgo, con considerazioni riferite alla disciplina del concordato preventivo, ha ritenuto compatibile la previsione di un pagamento parziale dell’IVA qualora sia accertato giudizialmente che tale soddisfazione garantisca comunque un’acquisizione di risorse maggiore rispetto alla alternativa liquidatoria.

Di qui, considerate le affinità che connotano le due procedure di riferimento, ad avviso della Corte è ravvisabile una ingiustificata dissonanza tra concordato preventivo e sovraindebitamento, non sussistendo motivi che legittimino il trattamento differenziato cui risultano assoggettati i debitori non fallibili rispetto a quelli che possono accedere al concordato preventivo.

Conseguentemente, la differenza di disciplina che caratterizzava il concordato preventivo e l’accordo di composizione dei crediti del debitore civile non fallibile dava luogo ad una ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tale da concretare una violazione dell’art. 3 Cost.