Il legislatore nazionale, mediante l’art. 13, comma 2, CCI, aveva conferito al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti l’incarico di elaborare un sistema di cc.dd. indicatori di crisi, vale a dire gli elementi che facciano “ragionevolmente presumere la sussistenza dello stato di crisi”, anche ai fini dell’adempimento dell’obbligo segnaletico in capo agli organi di controllo societari, al revisore contabile e alla società di revisione, ai sensi dell’art 14 dello stesso CCI.

Il CNDCEC ha, dunque, condotto un’analisi storica sui bilanci relativi a tre esercizi successivi di un campione di imprese che manifestavano la presenza di elementi di insolvenza, stante il verificarsi di almeno uno dei seguenti eventi: i) dichiarazione di fallimento; ii) presentazione di una richiesta di accesso al concordato preventivo; iii) presentazione di un ricorso per omologa di accordi di ristrutturazione dei debiti o di un ricorso “prenotativo” dell’accordo, ex art. 182-bis, comma 6, L.Fall.; iv) apertura di una procedura di liquidazione coatta amministrativa; v) apertura di una procedura di amministrazione straordinaria.

Nell’ottica del CNDCEC, nel sistema di indicatori di crisi di cui all’art. 13 CCI assume rilievo, in primo luogo, la rilevazione di un patrimonio netto negativo e, in difetto – vale a dire, in presenza di un patrimonio netto positivo – la circostanza che il Dscr (Debt service coverage ratio) sia inferiore a uno (dato rilevante per valutare la sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi).

Qualora il patrimonio netto sia positivo e il Dscr non sia disponibile o sufficientemente attendibile, il CNDCEC ha poi elaborato un sistema di cinque indici di settore i quali, se cumulativamente superiori a livelli giudicati allarmanti dallo stesso CNDCEC, debbono far ragionevolmente presumere lo stato di crisi. Detti indici – per i quali sono stabilite diverse soglie di allarme in relazione al settore economico in cui operi l’impresa considerato – sono i seguenti:

i) indice di sostenibilità degli oneri finanziari (rapporto oneri finanziari/fatturato);

ii) indice di adeguatezza patrimoniale (rapporto patrimonio netto/debiti totali);

iii) indice di ritorno liquido dell’attivo (rapporto cash flow/attivo);

iv) indice di liquidità (rapporto attivo a breve termine/passivo a breve termine);

v) indice di indebitamento previdenziale e tributario (rapporto attivo/debiti previdenziali e tributari).

La seconda parte del documento del CNDCEC – successivamente sottoposto all’approvazione da parte del Mise – è dedicata alla definizione di un iter metodologico di cui tenere conto ai fini della misurazione degli indici, i quali dovranno essere valutati secondo un preciso ordine gerarchico: se il patrimonio netto risulti positivo, perché possa scongiurarsi uno stato di crisi dovrà pure essere positivo (e, dunque, superiore a uno) il Dscr; qualora entrambi gli indici risultassero essere positivi, la sussistenza di uno stato di crisi potrà ragionevolmente essere presunta solo qualora siano superate le soglie di allarme relative a tutti e cinque indici di settore sopra menzionati; ferma la necessità di una rilevazione degli indici periodica, almeno trimestrale.